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Castelgandolfo, 18 novembre 2005

 SESSIONE DI APERTURA

Comunione e diritto:
le origini, la proposta, l’idealità

Maria Voce Maria Voce, Commissione Centrale Comunione e diritto

“I principi di libertà e di uguaglianza, tradotti nel piano giuridico, hanno rafforzato i diritti individuali, ma non sono sufficienti per assicurare la vita dei rapporti e delle comunità, se manca la fraternità. Il convegno si propone di indagare come la fraternità può ispirare modi nuovi dei comportamenti e delle relazioni giuridiche”.

Abbiamo posto questa frase nel manifesto di presentazione del convegno, perché ci sembra esprima l’idea che ha mosso l’iniziativa che “Comunione e Diritto” sta portando avanti da alcuni anni in Italia e in molte altre parti del mondo e che sfocia ora in questo Congresso.“Comunione e Diritto” fa esplicito riferimento, sia nell’attività degli operatori sia nella riflessione teorica, alla spiritualità di comunione del Movimento dei focolari, iniziato da Chiara Lubich a Trento nel pieno del secondo conflitto mondiale. Ritrovato nel Vangelo l’annuncio sempre nuovo dell’amore di Dio, che, praticato da ogni essere umano, diventa forza e legame dei rapporti e della comunità, Chiara Lubich diede subito inizio alla vita di una piccola collettività. Questa era retta dalla legge evangelica dell’amore reciproco generatore di unità, che – si constatava - aveva in sé la capacità di salvare, rinnovare l’uomo, ogni uomo, tutto l’uomo. Quella legge, poi, si rivelava in grado di sostenere e far vivere le relazioni in ogni campo dell’attività umana, rinnovando scienze, arte, politica, economia, non esclusa certamente la realtà del diritto.Per rispondere all’esigenza di considerare la fraternità nella vita e nella disciplina del diritto, gruppi di operatori e di studiosi del diritto cominciarono ad incontrarsi, in questa atmosfera di amore reciproco e di condivisione, per comunicarsi l’esperienza concreta e la considerazione teorica dei modi dei comportamenti e delle relazioni giuridiche in ogni ambito umano. Si è venuta così intessendo tutta una rete di rapporti che ha dato vita a qualcosa di organico a cui appunto abbiamo dato il nome di Comunione e Diritto.Per noi questo nome ha una doppia valenza: da un lato significa mettere in comunione conoscenze ed esperienze delle nostre attività professionali; dall’altro significa scoprire nel diritto un mezzo efficace e necessario per contribuire a trasformare la vita di ogni collettività in autentica comunione.Le estreme difficoltà in cui versa oggi la comunione umana a tutti i livelli, da quello famigliare fino a quello della comunità internazionale, sollecitano un confronto ineludibile di idee e comportamenti con l’esigenza di assicurare in pari tempo la più efficace tutela della persona e dei suoi diritti inviolabili, la comunione delle persone e la vita stessa delle comunità umane. Appare, infatti, che mentre la dottrina e la prassi del diritto nell’epoca moderna e contemporanea hanno posto al centro la tutela giuridica dell’individuo e dei suoi diritti fondamentali, non altrettanto è avvenuto per la comunione umana e le sue esigenze. Certamente questo deficit non è imputabile soltanto alla scienza del diritto. Voci autorevoli hanno posto in rilievo tale deficit e le sue cause. E’ nota l’espressione di Erich Fromm, secondo cui “la nostra civiltà molto raramente cerca d’imparare l’arte di amare e, nonostante la disperata ricerca di amore, tutto il resto è considerato più importante: successo, prestigio, denaro, potere. Quasi ogni energia è usata per raggiungere questi scopi e quasi nessuna per conoscere l’arte di amare[1]”. “Comunione e Diritto”, come ho già detto e come è chiaramente testimoniato dalla grande internazionalità dei partecipanti al Congresso, è diffusa in molte parti del mondo. Durante tutti questi anni, nei diversi gruppi, si è constatato che questa comunione era un aiuto nell’illuminare le scelte da fare, non sempre facili ed evidenti, nel rafforzare la determinazione, insomma nell’operare per la giustizia. Il confronto fra tutti ed il comune lavoro suggeriva metodi di intervento basati sul valore della persona in qualsiasi condizione. Lo scambio di esperienze, intessute di sforzi, sofferenze, fallimenti, conquiste, arricchiva, stimolava, edificava. Sono stati anni di maturazione e di crescita. Non si ponevano barriere di nessun genere e questo faceva sì che ci si ritrovasse insieme avvocati e magistrati, funzionari di pubblica sicurezza e notai, personale ausiliario e assistenti carcerari, docenti e studenti. Nel dialogo fra tutti la tentazione di far prevalere il proprio ruolo, i condizionamenti psicologici nel manifestare liberamente il proprio pensiero, erano volta per volta da superare e ci richiedevano una sempre rinnovata decisione di far prevalere quella legge dell’amore reciproco che ci eravamo data come prioritaria a tutto. Il risultato che ne seguiva era la gioia di camminare insieme e, al di là di ruoli o posizioni concettuali, di trovarci uniti nel cercare come contribuire a risanare le ferite della giustizia.La comunione fra tutti molto ampia e libera, in un clima di grande rispetto ed apertura, faceva anche emergere temi fondamentali o questioni difficili che venivano affrontati serenamente e senza animosità.I partecipanti, anche quelli che venivano per la prima volta, si sentivano subito coinvolti; i giovani si sentivano incoraggiati; e tutti coglievano la necessità dell’impegno personale per vivere coerentemente a quanto visto insieme, mentre la comunione ed il dialogo, aiutavano a capire come fare.I buoni risultati, sia nell’attività pratica di applicazione del diritto sia nel piano della riflessione teorica, il modo di confrontare le esperienze e la ricerca in un dialogo aperto, la richiesta di incontrarsi da più aree geografiche e culturali per uno scambio e un arricchimento comune, ed anche – diciamolo – l’esigenza oggi avvertita di un rinnovamento profondo del diritto e della giustizia, ci hanno spinti a proporre questo convegno.Il convegno, per le origini e per le caratteristiche fin qui evidenziate, presenta un taglio fortemente esperienziale. Si muove da ciò che si è compreso applicando “l’arte di amare” nei comportamenti, nei rapporti e nell’attività giuridica. Emerge un nuovo stile di operare e di rapportarsi proprio nel diritto vivente. Si può obiettare che tutto ciò si traduce e si esaurisce in deontologia ed etica giudiziaria od etica del diritto, e che poco o nulla ha da dividere con la scienza del diritto e con la funzione del diritto, dinanzi alle sfide della società post-moderna e ai problemi che questa pone, circa l’estensione dell’ombrello di tutela del diritto medesimo.Ma proprio queste sfide pensiamo che richiedano al diritto di adeguarsi all’esigenza di una maggiore realizzazione delle persone e delle comunità in cui esse vivono. Certo siamo solo agli inizi e, in certo senso, sentiamo di balbettare. Nello stesso tempo l’esperienza vissuta fin qui ci ha dimostrato che i passi avanti non si fanno isolatamente, ma insieme; che non ha senso tentare di correre da soli in un contesto sempre più globalizzato; che solo l’interazione di culture e sensibilità diverse può farci superare le strettoie di visioni parziali e riduttive; e che, anche se difficile, una vera cultura oggi, in qualsiasi campo, non escluso quello giuridico, può nascere solo dal dialogo e dal confronto.Per questo, con estrema coscienza della nostra pochezza e quindi con doverosa umiltà, ma nello stesso tempo con speranza e fiducia che insieme possiamo lavorare per relazioni giuridiche più rispondenti ai bisogni dell’umanità di oggi, vi presentiamo il lavoro fin qui fatto, che vuole essere semplicemente un’apertura di dialogo, per imparare insieme gli uni dagli altri, nella certezza che ogni contributo, accolto con attenzione ed ascolto in questo clima di rispetto e di comunione, costituirà un arricchimento per tutti.



[1] E. Fromm, L’arte di amare, Milano, 1971, p. 18.

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