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 Mariapoli Ginetta, 25 gennaio 2008

Congresso nazionale Brasile 

Avv. Maria Giovanna Rigatelli, Foro di Roma   

Le finalità di Comunione e Diritto sono già state ben presentate dai relatori che mi hanno preceduto.

Io dovrei dirvi brevemente l’origine di questa iniziativa e lo sviluppo che essa ha avuto fino a questo momento.

 “Comunione e Diritto” è una corrente di dottrina giuridica, che nasce dall’esperienza delle persone del Movimento dei focolari che operano con lo spirito dell’unità nei vari campi giuridici e dal correlativo approfondimento dottrinale alla luce del carisma dell’unità.

Sul piano della vita “Comunione e Diritto” ha avuto la sua origine nel Movimento Umanità Nuova che ha proprio lo scopo di ravvivare o trasformare con lo spirito dell’unità la realtà civile, e quindi anche il campo del diritto e della giustizia, per renderlo sempre più corrispondente ai bisogni dell’uomo e della società di oggi. 

Così agli inizi degli anni ’90 a Roma – e la stessa cosa si è sviluppata subito anche in altre città e regioni del mondo – un gruppo di operatori della giustizia hanno iniziato ad incontrarsi regolarmente per comunicarsi l’esperienza che andavano facendo. Erano avvocati e magistrati e si vedevano spontaneamente per un momento di scambio e di condivisione per sempre meglio svolgere la propria professione.

Ne è nato man mano un modo nuovo di comportarsi come operatori della giustizia, che è diventato comune, e ha iniziato a diffondersi nell’ambiente.

Gli incontri sono aperti a tutti quanti sono interessati ad una conoscenza e ad un dialogo sui problemi della giustizia e del diritto.

Successivamente si è sviluppata anche una riflessione sul diritto in generale, in rapporto alla comunione come realtà che prende vita dal mettere in pratica la fraternità – espressione del carisma dell’unità – in tutte le realtà ed i rapporti umani.

Come ho detto, i gruppi di “Comunione e Diritto” si sono formati e sono vivi in molte nazioni. Nel 2005 si è svolto il primo Congresso Internazionale a Roma con il titolo “Relazionalità nel Diritto. Quale spazio per la fraternità?”. Vi hanno partecipato 700 tra giuristi, giudici, magistrati del pubblico ministero, docenti, avvocati, funzionari, ed altri operatori nel campo giuridico.

Siamo alla ricerca, sia con la vita sia con la riflessione teorica, di come reimpostare la realtà giuridica alla luce delle esigenze della comunione tra gli uomini.

Sul piano della vita molto ci aiuta l’applicare la spiritualità dell’unità nella nostra attività professionale.

Ad esempio, la conoscenza di Dio come Amore ci dà motivazione e forza nell’agire, ci libera dai timori e dalle convenienze.

Attuando anche attraverso lo svolgimento dell’attività giuridica le esigenze del Vangelo (per esempio, il comando dell’amore del prossimo e quello dell’amore vicendevole tra i diversi soggetti), nasce la visione del diritto come espressione e sostegno della vita di comunione. Crediamo che, attraverso gli approfondimenti teorici, come in questo convegno, e la vita degli operatori, questa visione potrà delinearsi sempre meglio, ed essere offerta come principio di una nuova cultura giuridica.

Qualche tempo fa, all’inaugurazione dell’anno giudiziario in Italia, il procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha parlato di una crisi del processo (in particolare il riferimento era al processo penale), ricollegandola ad una crisi dei ruoli dei protagonisti del processo.

Il suo discorso era più ampio, ma ho pensato subito che la crisi dei ruoli si supera in primo luogo con la conoscenza e il rispetto reciproci, con il mettere in luce la funzione e il ruolo dell’altro e riconoscerli come necessari al buon andamento del processo.

E’ quanto ci proponiamo di fare, come operatori del diritto che aderiscono a CeD.

Sono tante le forme di ingiustizia in mezzo a cui ci dibattiamo, e a cui attraverso il nostro lavoro, cerchiamo di dare una risposta. Ne sono già state ricordate alcune nella relazione precedente.

Ne possiamo menzionare altre, quali: l’illegalità, frutto dell’individualismo; il vuoto di leggi, o, al contrario – e qui mi riferisco alla realtà italiana, non conoscendo così bene la vostra - l’eccessiva e complicata produzione di esse; la lunghezza dei processi; l’incapacità o impossibilità di difendersi; l’incompetenza o scarsa preparazione di chi dovrebbe garantire l’amministrazione della giustizia.

Come rispondere a tutto ciò?

Sicuramente, prima di tutto, con l’impegno dei singoli: avremo modo di vedere esempi concreti, in questi giorni.

Attraverso il nostro comportamento possiamo trasmettere agli altri il nostro stile, possiamo aiutarli a riscoprire e ad operare per la giustizia.

Come, in concreto?

Sapendo di operare in un campo contrassegnato dalla contrapposizione delle parti e dei ruoli, una prima possibilità consiste nell'accogliere l'altro. Questo rispettare e valorizzare l’altro, immette anche lui nel circuito dell'amore, aiutando ciascuno di noi a raddrizzare il proprio agire e anche a migliorare la propria capacità professionale, così che la funzione giudiziaria diviene più idonea al raggiungimento della propria finalità.

Il processo – dicevamo – segna un momento di divisione, è contrapposizione per antonomasia. La scommessa, la sfida è portarci dentro l’amore all’altro.

Vorrei provare ad evidenziare con voi alcune possibilità, molto semplici, ma concrete e che, se vissute, possono condurre a piccole rivoluzioni:

•    considerare il diritto dell'altra parte, le sue giuste ragioni; in questo, ad esempio come avvocati, ma anche come notai, possiamo aiutare i nostri assistiti. Ciò eviterebbe tante liti tra privati o ne agevolerebbe la soluzione, con tutto vantaggio anche per l'amministrazione della giustizia, che vedrebbe diminuire l'enorme numero di cause;

•    aiutare le parti del giudizio (e questo anche in fase pre-giudiziale) a guardare non solo l’interesse proprio, ma anche se il rapporto che si vuole instaurare corrisponda al vero bene di entrambi i soggetti.

•    nei processi penali conoscere la situazione sociale, familiare e ambientale dell'imputato, le circostanze e i motivi del delitto, per valutarne meglio la condotta e la responsabilità. E questo, anche quando siamo chiamati alle difese d’ufficio, per rispettare fino in fondo la persona che ci è stata affidata, ricordando che l’avvocato è colui che è ad-vocatus, chiamato accanto ad ogni assistito.

•    sul piano delle relazioni all’interno del processo, dare il giusto spazio e la giusta considerazione all'attività processuale di ciascun operatore (avvocati, giudici, cancellieri, ecc.) e giungere alla cooperazione piuttosto che all'indifferenza o alla contrapposizione, che mira unicamente a far prevalere la propria posizione su quella dell'altro a scapito anche della giustizia.

•    leggere gli atti non alla ricerca dell’errore dell’avversario, ma cercando di comprendere il suo punto di vista. Se così si fa, a volte si scopre che le posizioni contrapposte non sono in realtà così distanti.

Accade anche che le cause, con il passare del tempo “si sgonfiano”. Spesso, se si è intavolato un dialogo tra le parti, è il momento per trovare una soluzione conciliativa. Se si mantengono rigidamente le proprie posizioni si perdono occasioni per risolvere conflitti.

•    per i magistrati del pubblico ministero, vagliare scrupolosamente i fatti e le fonti di prova prima di emettere provvedimenti restrittivi di persone e cose e, soprattutto, escludendo dalle proprie determinazioni ogni emotività o valutazione particolaristica o protagonismo;

•    nelle deliberazioni collegiali dei giudici, ascoltare a fondo gli altri componenti del collegio ed esporre responsabilmente il proprio parere. Se ciò viene fatto reciprocamente e con la sola intenzione di giungere ad una decisione giusta, si avrà tanta più luce per rendere una soluzione conforme a vera giustizia;

•    infine, in tutte le relazioni giuridiche (come in ogni relazione umana) provare a "dimenticare" il torto ricevuto e riprendere la vita e vedersi "nuovi" come non ci si conoscesse. Se lo facciamo tra noi operatori sono certa che questo esempio trascinerà anche le persone che si rivolgono alla giustizia, e permetterà loro di sperimentare una giustizia “più giusta”.

Siamo coscienti di essere davanti ad un compito particolarmente impegnativo, ma siamo certi però che portando avanti insieme queste idee, questa vita, è possibile cambiare dal di dentro la realtà della giustizia.


    

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