Tavola rotonda: confronto e dialogo sui temi del congresso


tavola rotondaMi presento brevissimamente: sono professore di Diritto Costituzionale nell’Università di Catania e Preside della Facoltà di Giurisprudenza. Ovviamente quando sento parlare di valori nella Costituzionale, mi sento nel mio campo, nel campo da me preferito e coltivato. I valori richiamati, rispetto della persona, libertà, uguaglianza facendo parte delle Costituzioni degli Stati, in maniera consolidata hanno costituito una svolta nella storia: il loro riconoscimento ha costituito la ribellione al passato abbastanza recente, che aveva non solo cancellato i fondamentali diritti dell’uomo, ma aveva anche strappato in alcune parti del continente europeo le libertà fondamentali.

Dunque un nuovo corso; ma nuovo non così del tutto come si potrebbe pensare. Perché, se viene data una interpretazione profonda, e forse definitiva, del diritto, se ne perviene ad una lettura più autentica di quella che si avverte nella interpretazione corrente. Il diritto lo si può intendere in senso precettivo; ma lo si può intendere anche in senso propositivo. Bisogna vedere come è scritta la norma e come essa si legge. Da questo punto di vista sono profondamente convinto, è una mia convinzione, ma è convinzione – (apro una brevissima parantesi, che deriva da una folgorazione che io studente di primo anno nell’Università di Napoli ebbi quando nella prima lezione il prof. Domenico Rubino – ordinario di Istituzioni di Diritto Privato – disse: “ricordate che nulla vi è di assoluto nel diritto”) – che tutto è relativo nel diritto, perché il diritto è una disciplina che attiene ad un aspetto fondamentale dell’uomo, che è l’aspetto sociale, e quindi delle relazioni. Ora la relazione non può che essere una relazione fraterna. Per me il diritto trasuda di discipline di relazioni fraterne; non può essere diversamente. Per chi lo vede in altro senso, il diritto sarebbe opprimente, e oppressivo. Dove sta il fulcro della relazionalità e della fraternità, che a mio modo di vedere sono immanenti al diritto - (il diritto non può prescindere da questi due aspetti) -, dove sta questo fulcro? Richiamando i valori, secondo me questo punto centrale sta nell’accettazione del limite. Noi trascuriamo troppo spesso il limite. Il diritto ha anche una funzione pedagogica, di insegnamento, di induzione all’accettazione al limite; non soltanto del limite posto dalla presenza dell’altro che occorre rispettare, che non occorre soffocare e sopraffare per evitare che da un rapporto di disparità si sprigioni la disuguaglianza (bisogna spegnere infatti la forza che si oppone all’uguaglianza), ma è anche accettazione del proprio limite. Se il diritto lo si guarda da questo punto di vista, e si sciolgono le formule linguistiche, che molto spesso sono formule austere è sempre possibile sciogliere la formula apparentemente precettiva in formula propositiva allora credo che abbiamo colto il senso del diritto, che è la disciplina, la proposizione, l’accettazione del limite, nostro ed altrui.

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