Castelgandolfo, 18 novembre 2005

Al primo Convegno internazionale di Comunione e Diritto

Chiara Lubich

Chiara Lubich - Fondatrice e Presidente
del Movimento dei Focolari

Sono lieta di rivolgere un saluto ed un augurio a tutti voi, studiosi ed operatori nel campo del diritto e della giustizia, convenuti a Castelgandolfo per approfondire il tema della “relazionalità nel diritto” e cercare di individuare in essa il ruolo della fraternità.

Quanto vi posso dire non nasce certamente da conoscenze giuridiche, ma dall’esperienza di oltre 60 anni in cui, sotto l’azione di uno speciale dono di Dio, riconosciuto come “carisma dell’unità”, ho visto il comporsi di una comunità di persone, delle più varie provenienze, che hanno formato quasi un piccolo “popolo”, vivente in mezzo a tutti i popoli della terra, ben caratterizzato per aver posto a base della propria vita, quasi come legge fondamentale, il comandamento nuovo di Gesù: “che vi amiate gli uni gli altri” (Gv. 13,34) Da questo carisma sono nate anche delle piccole città. Ne abbiamo ora una trentina nei cinque continenti, cittadelle con gli elementi di ogni altra città: case, scuole, aziende, chiesa, luoghi di sport e di svago, caratterizzate dal fatto che tutti gli abitanti si impegnano a vivere la legge dell’amore reciproco. Queste cittadelle testimoniano che è possibile una regola di vita basata sul comandamento dell’amore reciproco. Vi auguro di poterne visitare qualcuna personalmente.

Relazioni vissute quindi, relazioni che trovano la loro massima espressione nella reciprocità, relazioni che costituiscono una comunità sana, direi felice, come ci è concesso di viverla su questa terra.

Il pensiero filosofico ha sempre affermato che l’uomo è un “essere sociale”; egli vive insieme agli altri, di cui ha bisogno. E’ intuibile che il modo in cui gli individui si comportano gli uni verso gli altri non è indifferente per loro stessi e per la vita di relazione.
Molti vedono nella cosidetta “regola d’oro”, comune a molte religioni: “non fare agli altri ciò che non vuoi che gli altri facciano a te”, il fondamento morale dell’antico precetto neminem laedere e, oggi, della protezione dei diritti inviolabili dell’uomo.
Ma, io desidero proporvi di aprire la Vostra riflessione su un orizzonte più alto e vasto.
 Ogni essere umano sente il bisogno di essere amato e di riversare sugli altri l’amore ricevuto. D’altronde sono l’amore ricevuto e l’amore dato, che consentono alle persone di realizzarsi e nello stesso tempo di realizzare la comunione tra loro. In questo senso può essere intesa e praticata la fraternità fra gli uomini.
Ma questa fraternità ha il suo fondamento ontologico, ardisco dire, nell’amore di Dio che creando ogni uomo, ci ha fatto fratelli gli uni degli altri, quindi uguali e ordinati al bene della famiglia comune, la famiglia umana.
Per il carisma dell’unità che Dio ci ha dato abbiamo sempre visto tutta la creazione, nella sua meravigliosa immensità, come UNA, uscita dal cuore di un Dio Amore, e perciò tutta informata dalla sua impronta. Abbiamo visto in certo modo – credo – Dio sotto tutte le cose, Dio che lega tutte le cose in un rapporto d’amore. E se così è per tutta la creazione, lo è anche per ogni uomo e donna, per l’umanità fiore del creato. Di conseguenza abbiamo sentito che ognuno é stato creato in dono a chi gli sta vicino e chi gli sta vicino è stato creato da Dio in dono per lui.
La fraternità universale dunque è iscritta, per così dire,  nel DNA di ogni uomo, ne costituisce la vocazione ultima e corrisponde al disegno di Dio di realizzazione piena dell’uomo e dell’umanità.
E quale il modo di vivere questa fraternità, rendendola effettiva nel quotidiano?
Abbiamo compreso che questo modo è l’amore reciproco, vissuto sul modello della vita della santissima Trinità, dove le Persone si annullano per amore l’una nell’altra, per ritrovarsi, in un crescendo continuo di Vita, – se così possiamo dire in termini umani – sempre più autenticamente persone e sempre più profondamente comunione, unità.
Noi, uomini e donne, siamo chiamati ad imitare questo altissimo modello in tutti i rapporti, ad ogni livello della vita sociale.
Il diritto, fin dal suo nascere, è stato visto come regola della vita sociale, anzi come ordine della società stessa. Mi piacerebbe vedere questa funzione regolatrice innervata dal comandamento nuovo dell’amore reciproco per la piena realizzazione delle persone e dei rapporti ai quali esse danno vita.

Così, nella funzione più propriamente normativa, come nella pratica quotidiana di tutte le relazioni che la vita giuridica comporta, voi potreste contribuire a fare dell’umanità una famiglia.
Affermava Giovanni Paolo II rivolgendosi ad un gruppo di giuristi:
“L’instaurare la fraternità universale non può certo essere il risultato dei soli sforzi dei giuristi; tuttavia il contributo di questi ultimi alla realizzazione di tale compito è specifico e indispensabile. Fa parte della loro responsabilità e della loro missione”1.
Auspico che questo vostro Congresso sia stimolo ad un impegno rinnovato nel lavorare per la realizzazione della fraternità universale, cominciando dai rapporti nei quali siete protagonisti per influire poi su ogni relazione, dalla famiglia, alla città, alla nazione, al mondo intero.

Chiara Lubich 

1 Messaggio ai partecipanti al convegno dei giuristi cattolici, 24 novembre 2000 

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