Castelgandolfo, 18 novembre 2005

 SESSIONE DI APERTURA

Riflessioni su fraternità e diritto

Fausto GoriaFausto Goria - professore di diritto romano,
Università di Torino

Il diritto, secondo una concezione largamente diffusa e certo un po' semplificatrice [1] , ha come fine la permanenza ordinata di un gruppo e, al suo interno, la pacifica coesistenza dei soggetti che lo compongono, in modo che siano ridotti al minimo, e rapidamente risolti, i conflitti fra loro.

Lo spirito di fraternità aspira certamente a realizzare molto di più, ma non si può dire che si muova verso un'altra direzione.

A questo punto la domanda è: che cosa ha a che fare la fraternità con il diritto ? Vi sono dei rapporti, oppure si tratta di realtà che operano su piani diversi ? Quest'ultima sembra una convinzione abbastanza diffusa: molti ritengono che la fraternità possa essere solo spontanea, mentre caratteristica del diritto sarebbe la coattività. Ne conseguirebbe che il diritto è tanto più necessario quanto meno opera la fraternità e, viceversa, che una società totalmente compenetrata da quest'ultima potrebbe tranquillamente fare a meno del primo: così ad esempio, il sociologo tedesco Tönnies, che contrappone la Gemeinschaft (o "comunità") alla Gesellschaft (cioè "società"); anche Marx prevedeva la scomparsa del diritto nella futura società senza classi. Evidentemente, l'orientamento a rispondere in un modo o nell'altro dipende da come viene concepito il diritto: ad esempio, i sostenitori di teorie istituzionali (quali Maurice Hauriou e Santi Romano), che ritengono il diritto insito in ogni gruppo sociale organizzato, non avrebbero difficoltà ad ammetterne l'esistenza anche in una società completamente fraterna. In effetti, la sussistenza di regole può essere indirizzata proprio a salvaguardare il carattere pienamente fraterno della convivenza e ad educare ad essa i nuovi aderenti, come mostrano ad esempio le regole monastiche; da questo punto di vista, la fraternità potrebbe presentarsi come esperienza vissuta di rapporti positivi ed arricchenti, che tende a tradursi in diritto proprio per assumere carattere stabile ed istituzionale.

Posto quindi che tra fraternità e diritto non vi è necessariamente esclusione, ma ammettendo che le società completamente fraterne costituiscono per ora casi di limitate dimensioni, si può provare ad esaminare il rapporto fra diritto e fraternità da un punto di vista storico. Qui sorge spontanea una riflessione: in età moderna il valore della fraternità è stato proclamato sul piano politico, soprattutto a seguito della rivoluzione francese, in simbiosi con quelli di libertà e di eguaglianza; ora, nessuno contesta  il fatto che questi ultimi siano diventati importanti valori giuridici (anche se non solo tali), riconosciuti in modo espresso da molte costituzioni moderne; ma allora, si può pensare che la fraternità sia da collocare solo su un piano morale e sociale ? o non è forse vero che essa costituisce in certo modo la sintesi e l'equilibrio della libertà e dell'eguaglianza, nel senso che proprio in vista della fraternità la prima può accettare limiti per realizzare una certa eguaglianza, e che d'altronde quest'ultima sempre in vista della fraternità può acconsentire a frenare la propria espansione per non comprimere troppo la prima [2] ? Se questo è vero in generale sul piano politico, non può avere  delle conseguenze anche per il diritto?

Oggi, in realtà, il collegamento della fraternità con il diritto appare come un esigenza sentita, tant'è vero che si è scritto di recente: "La fraternità ... non è altra cosa rispetto al diritto, né assume le vesti di un altro diritto, ma ne è forse il cuore segreto (sottolineatura mia), tanto più centrale quanto più la soluzione dei problemi appare legata a dimensioni planetarie". [3]

Se andiamo più indietro nella storia, scopriamo che il tentativo di estendere le caratteristiche delle relazioni tra fratelli di sangue a persone con le quali tali vincoli non esistevano ha radici assai antiche e probabilmente fu alla base, presso i Romani, della figura di società che comportava la messa in comune di tutti i beni; certo, al legame in qualche modo fraterno che intercorre fra i membri di ogni contratto di società viene ricondotto, dal giurista Ulpiano, il divieto di ottenere una condanna che vada al di là dell'attivo patrimoniale di ciascuno. [4] Nel Medio Evo, presso vari popoli appare diffuso l'istituto dell'affratellamento, allo scopo di costituire fra due o più persone relazioni strette di solidarietà e di aiuto reciproco, su un piano di parità e nell'ambito di una comunione patrimoniale [5] E' vero che in tali istituzioni la fraternità era un legame fra pochi, destinato a soddisfare interessi comuni, ma negli stessi secoli - su impulso del messaggio cristiano che aveva prospettato la fraternità in modo universale, fornendole anche fondamento teologico e strumenti concettuali e spirituali - sorse un'enorme quantità di associazioni laicali (molte delle quali denominate appunto "confraternite"), che promuovevano una più intensa pratica di rapporti fraterni, sia fra i componenti sia verso l'esterno, e che hanno influito sia sul diritto (ad esempio, per quanto riguarda la teoria della persona giuridica), sia sulla società nel suo complesso ponendo le premesse per i moderni servizi sociali e di assistenza. Non mancarono, anzi, visioni profetiche che andavano assai al di là della società del tempo: lo spirito di fraternità verso tutta la realtà naturale e cosmica prospettato da San Francesco non appare oggi così moderno da poter costituire uno spunto di giustificazione teorica per una legislazione che protegga l'ambiente ?  

Già prima della rivoluzione francese, quindi, la fraternità era sentita come un valore che qualificava determinati rapporti e che poteva tradursi in conseguenze giuridiche; pochi decenni dopo la rivoluzione al termine "fraternità" si sostituì gradualmente quello di "solidarietà", ed anch'esso ebbe una lunga storia (non ancora terminata) come valore atto a promuovere, in forma sempre più estesa, il riconoscimento di diritti umani e l' introduzione di nuove figure giuridiche [6]

Sarebbe certo interessante compiere un viaggio nel mondo delle norme per accertare quante di esse, presso i vari popoli e nei vari campi del diritto, possono trovare il loro fondamento nell'esigenza di conferire ai rapporti sociali carattere maggiormente fraterno. Non possiamo farlo ora [7], ma qualche esempio risulterà dalle successive relazioni. Qui possiamo solo osservare che una ricerca del genere non avrebbe esclusivamente carattere culturale: si potrebbe infatti sostenere che, ove la fraternità abbia costituito il principio ispiratore di un complesso di norme, essa rappresenti anche un importante criterio interpretativo delle medesime, pur in quegli ordinamenti nei quali non si possa riconoscere al "principio di fraternità" (o, eventualmente, a quello di solidarietà) il rango di principio generale del diritto [8].

Se i profili appena indicati concernono piuttosto l'ordinamento di una comunità nel suo insieme e la fraternità come possibile valore ispiratore di norme ed istituti, mi pare che vi sia una pista di un certo interesse che riguarda fraternità e diritto nelle quotidiane relazioni personali. Indubbiamente anche il fenomeno giuridico può essere considerato dal punto di vista della relazione, ma normalmente - almeno se prendiamo in considerazione il complesso normativo in cui si esprime solitamente il diritto nei Paesi dell'Europa continentale e nell'America latina - la relazione giuridica è caratterizzata da un forte tasso di astrazione: nel mondo delle norme non esiste la persona concreta, con un nome e cognome, un'età, residenza, educazione, lavoro, esperienza di vita e formazione psicologica, connotata da determinate condizioni economiche e culturali; esistono invece delle figure astratte, che entrano in rapporti tipicizzati secondo ruoli (proprietario, debitore, creditore, venditore, mandante, erede, attore, convenuto ecc., per limitarci al diritto privato e al processo civile); di esse le norme precisano i comportamenti nella forma di diritti (e altre figure soggettive come potestà, facoltà ecc.) e doveri (od oneri). Naturalmente ciò è dovuto ad esigenze di generalità ed economia normativa; del resto, anche negli ordinamenti di common law, nei quali il precedente è costituito da un caso concreto, esso viene descritto con attenzione ai profili giuridicamente rilevanti e viene applicato nei casi successivi facendo astrazione (qui per opera del giudice, non del legislatore!) da ciò che non viene considerato "simile".

 Nell'esperienza pratica, dunque, il rapporto configurato astrattamente nelle norme prende vita come rapporto sociale concreto fra due o più persone determinate, che possono assumere nei confronti reciproci atteggiamenti diversissimi: di ostilità, indifferenza, oppure appunto di fraternità (con tutte le sfumature intermedie). Quest'ultimo può consistere, ad esempio, nell'ascoltare attentamente la controparte per cogliere tutte le sue esigenze - sempre esemplificando con riferimento al diritto privato - sia nelle trattative precontrattuali, sia nel corso dell'adempimento della prestazione, sia nel caso che ci si accinga ad un'azione giudiziaria (pensiamo soprattutto a prestazioni d'opera, subordinata o autonoma, appalti, ma anche a crisi matrimoniali); ora, spesso si è sperimentato che tale atteggiamento finisce per indurre la controparte ad assumerne uno analogo, con vantaggio reciproco. Un altro esempio, ancora nel campo civilistico: adempiere la propria prestazione quanto prima possibile, senza aspettare il termine fissato a favore del debitore.

Se poi prendiamo in considerazione un organismo giudiziario, o ad ogni modo pubblico, il funzionario che voglia essere fraterno potrà far uso dei propri poteri discrezionali per venire incontro alle esigenze, anche spicciole o legate a situazioni contingenti, delle persone interessate; più in generale, potrà "perdere tempo" per ascoltare queste ultime. Il risultato, molto spesso, sarà di vedersi facilitato lo svolgimento dei propri doveri d'ufficio dagli interessati stessi, o addirittura di vedere bene accetta anche una decisione a loro sfavorevole (fatto particolarmente importante, com'è ovvio, quando si tratta di rendere giustizia). Non è poi raro il caso in cui atteggiamenti del genere portano ad innovazioni normative: ad esempio, revisione di regolamenti ed adozione di procedure più snelle; coinvolgimento, in procedure amministrative e giudiziarie, di enti di assistenza o ad ogni modo specializzati nel rispondere a determinati bisogni, e così via.

Anche quando non spinge a modificare le regole, l'atteggiamento fraterno di operatori giudiziari, funzionari pubblici o semplicemente parti in un rapporto può suggerire interpretazioni giuridiche nuove, o semplicemente consigliare di adottare, fra più soluzioni possibili, quella più rispondente alla funzione della norma con riferimento a quel preciso caso concreto. E, prima ancora, induce l'operatore ad interrogarsi sulla utilità del proprio ruolo e sullo spirito della normativa da applicare, evitando quindi la burocratizzazione dei compiti e il passivo perpetuarsi di prassi tramandate per inerzia.

Sembrerebbe quindi che la fraternità possa entrare nel diritto anche come potente spinta all'efficacia di esso conformemente alla sua funzione sociale, e che, da quest'ultimo punto di vista, possa collocarsi sul piano della effettività delle norme. Ora, è vero che a livello filosofico il problema dell'effettività (cioè del tasso di osservanza del diritto nella pratica) è stato finora considerato per lo più con riferimento a un intero ordinamento piuttosto che a singole norme o a gruppi di esse [9]. Tuttavia, in sede internazionale il problema viene sempre più frequentemente posto con riferimento all'osservanza di trattati o alla tutela dei diritti umani. Inoltre, lo sviluppo della sociologia giuridica e di approcci al diritto di tipo non formale [10], l'adozione di criteri di valutazione (quali efficienza ed efficacia) anche con riferimento alla normativa [11], aprono ampi spazi ad una considerazione della fraternità come strettamente legata al diritto, non solo in quanto valore sociale che può avere promosso la sua emanazione, ma in quanto elemento opportuno, o addirittura necessario, per la sua applicazione. I legislatori, anzi, potrebbero domandarsi se la diffusione di una "cultura della fraternità" non sia  utile all'effettività di molte norme più che la previsione di sanzioni.

In questa prospettiva, occorre però evitare un rischio: quello di intendere la fraternità in chiave esclusivamente individualistica. Infatti, rispetto al puro e semplice rapporto umano, quello giuridico  non si realizza mai solo fra due persone isolate, ma sussiste sempre sullo sfondo del gruppo, dell'intero ordinamento. E' quest'ultimo che parla attraverso il diritto, pur quando riconosce posizioni soggettive, o doveri ed oneri, in capo ai privati; è quest'ultimo che occorre evitare di intaccare attraverso un'interpretazione distorta della fraternità. Ad esempio, se può essere un atto di fraternità il perdonare un'offesa senza condizioni, non è detto che questo atteggiamento possa spingersi fino a qualche sotterfugio per sottrarre il colpevole alla sanzione prevista dall'ordinamento, che spesso è posta a tutela di valori collettivi dei quali la vittima non può disporre. Allo stesso modo, se io posso rinunciare a perseguire per danni il vicino che abbia deteriorato i miei prodotti con un uso eccessivo di disinfestanti, non è accettabile che egli, persistendo nello stesso comportamento con maggiore riguardo per i miei campi, danneggi beni pubblici inquinando ad esempio le falde acquifere. In quanto coinvolge il diritto, quindi, la relazione sociale assume sempre un carattere triadico: non sussiste solo da parte di A verso B e di B verso A, ma contemporaneamente da parte di entrambi nei confronti del gruppo. Del resto, i fratelli in tanto possono definirsi tali, in quanto fanno parte di una famiglia, ed è solo all'interno di questa e sulla base di questa che le loro relazioni possono dirsi fraterne. Di qui la necessità di approfondire la prassi e la teoria della fraternità in ambito giuridico perché essa possa correttamente raggiungere le finalità che si sono intravviste.

Vorrei toccare ancora un ultimo punto: si può parlare della fraternità come di un dovere giuridico?   I giuristi romani si richiamavano ad una sorta di "parentela" che lega tutti gli uomini per giustificare il divieto di tendere insidie ad altri [12] ma non vi ricollegavano obblighi di contenuto positivo. Ai nostri giorni, per dare al quesito risposta affermativa, ci si potrebbe richiamare all'art. 1 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 10 dicembre 1948, che recita: "Tutti gli esseri umani ... sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza"; obblighi analoghi potrebbero rinvenirsi in quegli ordinamenti che, come avviene nell'art. 2 della Costituzione italiana, impongono a tutti i consociati un dovere generale di solidarietà. Tali enunciazioni appaiono tuttavia molto generiche e potrebbero, al massimo, essere considerate dei principi generali del diritto ai quali ricorrere solo in assenza di regole più precise. Occorre quindi una crescita della sensibilità sociale che ne permetta la traduzione in precetti più specifici, come del resto è avvenuto, nel corso dei secoli, per i principi di libertà e di eguaglianza.  Occorre, per scorgere più chiaramente il da farsi, una fase forse anche lunga di educazione alla fraternità e di pratica sociale della medesima. Possiamo augurarci che il nostro congresso ne mostri la possibilità e la validità.


[1] Essa, espressa ad esempio in G. Pugliese, voce "Diritto", in Enciclopedia delle scienze sociali, III, Roma 1993, 58-59; 61, riflette una prospettiva cosiddetta "oggettivistica", ma non è inconciliabile con quella più soggettivistica adottata ad esempio da V. Ferrari, Funzioni del diritto. Saggio critico-ricostruttivo, 2ª ed., Roma-Bari 1989, pp. 90 ss.

[2] F. Pizzolato, Appunti sul principio di fraternità nell'ordinamento giuridico italiano, in Rivista internazionale dei diritti dell'uomo, 14 (2001), p. 774, parla della fraternità come "ambiente di composizione" dei possibili conflitti fra diritti.

[3] E. Resta, Il diritto fraterno, nuova ediz. accresciuta, Roma-Bari 2005, p. V.

[4] Così Ulpiano, in Digesta Iustiniani Augusti 17,2,63 pr.

[5] Cfr. M. Roberti, Svolgimento storico del diritto privato in Italia, 2ª ed., III, Padova 1935, pp. 16 ss.; 276 ss.; 347 ss.; M.A. Benedetto, Affratellamento, in  Novissimo Digesto italiano1,1 (Torino, 1957), pp.391 s.

[6] Per il rapporto fra diritto e solidarietà, cfr. rapide notazioni e bibliografia nell'introduzione di P.P. Portinaro a K. Bayertz - M. Baurmann, L'interesse e il dono. Questioni di solidarietà, Torino 2002, pp. XXVI ss.

[7] Per qualche esempio relativo al diritto italiano, si pensi alla necessità imposta al creditore di cooperare per non rendere disagevole la prestazione del debitore; al divieto di atti emulativi; alla normativa pubblicistica sulla partecipazione delle famiglie alle attività della scuola; alla norma che impone che la pena debba mirare alla rieducazione del condannato.

[8] Per la considerazione del principio di solidarietà (artt. 2-3 della Costituzione italiana), inteso in senso lato quale espressione di fraternità, come principio generale del diritto privato, cfr. ad esempio G. Alpa, Istituzioni di diritto privato, 2ª ed., Torino 1997, pp. 130 ss.; per i rapporti fra solidarietà e fraternità, con numerosi riferimenti anche alla dottrina francese, cfr. F. Pizzolato, Appunti, cit., pp. 245 ss.

[9] Su questa problematica, cfr. ad esempio A Catania, Manuale di filosofia del diritto, Napoli 1995, pp.110 ss.; Id., Manuale di teoria generale del diritto, Roma-Bari 1998, pp. 93 ss.

[10] Si pensi, ad esempio, ad alcune correnti del cosiddetto "realismo giuridico", o anche al metodo che sorregge orientamenti quali l'analisi economica del diritto e che potrebbe ampliarsi ad altri profili. 

[11] Cfr. ad esempio F. Ost - M. van de Kerchove, De la pyramide au réseau? Pour une théorie dialectique du droit, Bruxelles 2002, pp. 328 ss.

[12] Cfr. Fiorentino, in Digesta Iustiniani Augusti 1,1,3.

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