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Fedeltà al cliente o alla verità?

A New York
Comunione e Diritto interroga Maria Voce

20110407_081Il gruppo di Comunione e Diritto degli USA  incontrando alla Fordham University  la Presidente del Movimento dei Focolari le ha rivolto questa domanda.

               "Negli USA è molto forte l'idea che un avvocato debba essere, senza esitazione e sempre, fedele verso i suoi clienti. In un certo senso, quel senso di fedeltà si adatta perfettamente all'idea di unità, perché chiede all'avvocato di svuotarsi, in modo da essere presente, disponibile per il cliente. D'altra parte la nozione di fedeltà, privilegia la relazione bivalente tra avvocato e cliente al di sopra di qualsiasi altro rapporto ed è in tensione con una nozione più ampia di unità.

Nel nostro gruppo di Comunione e diritto abbiamo avuto tantissime discussioni su e come gli avvocati possono e devono adottare nozioni più o meno ampie di unità, con un impatto non solo sulle nostre esperienze professionali, ma anche sulla comprensione delle nostre diverse tradizioni religiose. Credo che la mia tradizione buddista mi incoraggi a seguire una nozione più ampia di unità, e vorrei conoscere il suo pensiero sul ruolo dell'unità in relazione alla fedeltà."

Deborah Cantrell – avvocato


Mi sembra giusto quello che dici: l'avvocato deve svuotarsi davanti al cliente fino in fondo, per comprendere fino in fondo la posizione del cliente. Però bisogna anche intendersi su questo 'svuotarsi', perché l'avvocato, per svolgere bene la sua professione, è chiamato a dare la sua competenza, ad avere chiaro il suo ruolo nei confronti del cliente; quindi deve immedesimarsi con il cliente, ma questa immedesimazione ha principalmente lo scopo che il cliente si senta accolto, che il cliente si senta ascoltato, che possa esporre fino in fondo le sue esigenze, con chiarezza, con libertà. Quindi non significa accogliere ciecamente, passivamente quello che il cliente dice, ma significa mettersi nella posizione tale che il cliente possa dire tutto. E quando il cliente può dire tutto e si rende conto di essere trattato da 'persona', di essere rispettato nella sua dignità, nel suo essere, di esprimere totalmente le proprie esigenze, le proprie aspettative, in questo rapporto con l'avvocato anche il cliente è aiutato a capire che cosa è giusto e che cosa non è giusto. E in fondo la professione legale è questo: arrivare a scoprire insieme che cosa è giusto e che cosa non è giusto.

E quando, quindi, il cliente arriva a questo, si sente capito e è disposto ad accettare anche una proposta o una verità che è diversa da quella che lui aveva precedentemente.

Certo, ci vuole uno sforzo per fare questo, perché bisogna cambiare mentalità, non bisogna pretendere di vincere ad ogni costo.

Facendo così, tante volte ci si accorge che posizioni che sembrano contrapposte, in realtà sono complementari e aiutano a scoprire una verità più grande, una giustizia più grande.

Questo nel campo del rapporto fra avvocato e cliente, ma anche nel campo del rapporto fra giudici e avvocati, fra avvocato e Pubblico Ministero, perché se ci si pone nell'atteggiamento di considerare l'altro non un avversario da sconfiggere, da abbattere, ma una persona che può apportare qualcosa alla mia ricerca di verità e di giustizia, ecco che in questa relazione si ha una luce maggiore, una possibilità maggiore di scoprire quello che è giusto, e quindi di fare accettare anche al cliente questo.

Maria Voce - avvocato - Presidente del Movimento dei focolari

 

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